Ferdinand Hodler, dal ritratto al paesaggio: l’artista allo specchio

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Il 14 marzo del 1853 nasceva a Berna Ferdinand Hodler. Di seguito un estratto di un capitolo del mio libro sul grande artista svizzero.

Dal ritratto al paesaggio: l’artista allo specchio

     di Laura Fanti

     Per molti artisti l’autoritratto è la prima forma di espressione artistica, il banco di prova per confrontarsi con l’immagine allo specchio o con quella riportata da altri. Il ritratto è da sempre ambito di discussione sul rapporto tra arte e realtà e sulla riproducibilità del reale1. Se il catalogo ragionato confermerà il numero di 115 autoritratti segnalati da Hirsh2, Hodler potrebbe superare Rembrandt in quanto a numero di autoritratti, il quale ne realizzò 90. Questi lavori, dall’aria asciutta, nessun décor particolare o esotico, nessun atteggiamento originale, sono classici autoritratti, dove l’artista indaga la propria fisionomia, le espressioni, lo sguardo, i sorrisi e i corrucci.

     Perché Hodler si è ritratto così frequentemente e, invece, ha ritratto così poco le persone care? Fin qui si è visto come non fosse interesse dell’artista raccontare la propria vita né registrare il presente e neanche ritrarre le persone attorno a sé (costituiscono un’eccezione i drammatici ritratti fatti alle donne amate nel momento di dolore), il suo sguardo si posava più volentieri sui paesaggi e sulle composizioni simboliche. Ma perché? Sia chiaro, Hodler ha ritratto i suoi amici, le donne amate, i figli dei suoi amici, i collezionisti e così via, ma i suoi migliori lavori non sono da ricercare tra queste opere, spesso fredde e circostanziali.

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      L’artista affermava sovente come il ritratto sia «le rappel absolu de la personne qu’on représente»3, intendendo che un ritratto dovrebbe sintetizzare l’ani- ma della persona e che l’artista non dovrebbe permettersi scivolamenti in inutili particolari. Era una verità che ripeteva a se stesso riferita alla pittura in generale: «Scarto la realtà accidentale, i piccoli effetti, i tratti spirituali, i piccoli bagliori. Il modo di dipingere è soggetto alla forma. Tutto ciò che potrà distrarre lo spettato- re dall’insieme, io lo sopprimo. L’effetto, cercato con il colore contribuisce [all’] espressione oltre a rendere le cose più visibili. Io considero il colore un elemento d’impressione, ecco un principio simbolico…»4.

Questa dichiarazione, oltre a fissare la complessa estetica dell’artista tra analiticità e sintetismo, ci aiuta a capire perché Hodler si ritrasse così spesso. Il ritrarsi è un lavoro serio, un guardarsi per indagarsi e bloccare il proprio stato d’animo in un dato momento con pochi tratti essenziali e al contempo il mezzo per interrogare la pittura.

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(…)

L’autoritratto del 1917 del museo di Ginevra (che possiede il numero più alto di dipinti dell’artista e anche di autoritratti) è un sistema complesso di linea, colore, simbolismo, espressione del dolore e densità materica, dove lo sfondo lattiginoso, ma non completamente bianco, a ricordare la neve degli impressionisti ma anche una citazione degli amati laghi e degli sfondi visionari del periodo simbolista, è steso duramente con visibili colpi di pennello e dove un lilla chiarissimo si sovrappone a un bianco più deciso, steso sicuramente per ultimo, poiché va a confondersi con la testa dell’artista, un’unione felice di colori, dalla capigliatura alla barba. Hodler era malato quando ha dipinto l’opera, in pochissimo tempo fu ridotto all’immobilità ma l’opera è un capolavoro assoluto, e la complessità dell’uso del colore gioca un ruolo decisivo; il culmine è raggiunto dalle pennellate di diversi toni di giallo sulla fronte, quasi elemento surreale a sé stante che, insieme all’incastro di colori della barba, costituisce un pendant dei contemporanei paesaggi: al punto da farmi dire che il suo volto diventa proprio un paesaggio.

     Segno della maturità e della libertà dell’artista, le pennellate vanno a “sporcare” l’opera per evitare il lezioso, il finito, il troppo omogeneo (come scriveva Delacroix: «Bisogna sempre guastare un po’ il quadro per finirlo»6), ora sulla manica della giacca, ora la stessa cravatta, quasi entità a sé stante, ora colpi di co- lore rosa che illuminano le parti più sporgenti del volto. In realtà, in questi anni sono numerosi gli autoritratti in cui i lineamenti sembrano parti di un paesaggio, la barba una roccia, le luci sul volto elementi atmosferici come nubi o riflessi di luce.

Estratto del libro di Laura Fanti, Ferdinand Hodler, fra simbolismo e avanguardie (1853-1918), Carocci, Roma 2015

1. Cfr. C. Brandi, Carmine o della pittura, Enrico Scialoja, 1a ed. Roma 1945. 
2. In Hodler’s late self-portraits in catalogo mostra Ferdinand Hodler, 2013, p. 143.
3. “Rappel” è un termine che non si rende facilmente in italiano, significa “richiamo” ma anche ricordo”. Loosli, 1921-1924, vol. iv, pp. 221-4, cit. in Cat. mostra Ferdinand Hodler et Genève, 2005, p. 47. 
4. «J’écarte la réalité accidentelle, les petits effets, les traits spirituels, les petites étincelles. La manière de peindre est subordonné à la forme. Tout ce qui pourra distraire le spectateur de l’ensemble, je le supprime. L’effet, recherché par la couleur vient contribuer [à] l’expression, outre de rendre les choses plus visibles. Je considère la couleur comme un élément impressif, c’est là un principe symbolique...» (Hodler citato in “Club des Arts - Musées suisses”, n. 9, Genève, mai 1953, p. 8).