Van Gogh nel Borinage

van gogh la veille

Van Gogh nel Borinage

BAM, Mons, 25-01/17-5 2015

Benché durò quasi due anni, dal 1878 al 1880, il soggiorno nel Borinage (Belgio) di Van Gogh è poco noto persino tra gli studiosi. Una mostra a Mons ha gettato finalmente luce su un periodo decisivo per l’artista olandese, il quale solo facendosi “umile fra gli umili” e rinunciando lentamente alle velleità pastorali, potrà dedicarsi a quella che diventerà la missione della sua vita, l’arte. A testimonianza di questo percorso molti i disegni esposti, spesso di piccolissime dimensioni, dove Van Gogh si è esercitato nell’anatomia e nel paesaggio, e dove rintracciamo la vicinanza di artisti belgi come Eugène Boch e Constantin Meunier, anch’essi presenti con alcuni dipinti.

Alcuni lavori in mostra sono più acerbi, altri dei veri capolavori, come Haridelle (1883) e Tisserand (1883-84), disegno e pittura su carta che anticipano non solo l’Espressionismo storico ma anche il neo-Espressionismo tedesco (Lüpertz in particolare). Degno di nota il rilievo dato alle copie realizzate soprattutto d’après Millet. Queste non si presentano certamente come banali esercizi di stile o di emulazione, quanto come intense prove per l’auto-affermazione. In particolare Paysan liant des gerbes (1889) dove lo spazio inizia a collassare, La veillée (1889) e il più noto Le semeur (1890). Nel secondo dipinto Van Gogh approfondisce le intuizioni luministiche di Millet mostrando un forte interesse per la luce e i suoi effetti notturni e anticipando anche stavolta un’altra avanguardia, quella futurista, mi riferisco soprattutto al Balla di Lampada ad arco (1909-11).

Capolavoro assoluto è Rue à Auvers-sur-Oise (1890), che, sebbene sia stato realizzato più in là nel tempo e altrove – in Francia – si presenta come l’estremo compimento delle intuizioni nel Borinage, tant’è che in soli due mesi Van Gogh dipinge tantissime case in rovina e capanne, di cui questa in mostra, dai colori vivissimi, dipinta lasciando la tela bianca, alla maniera impressionista, non è che la punta più alta. Si sente che la luce restituisce consistenza agli elementi che compongono il dipinto e rivela, o meglio, svela il Van Gogh che verrà, in cui l’influsso di Monet sarà fondamentale. Dal vero non si prova solo quella vertigine degna degli ultimi dipinti dell’artista ma si sente anche la profondità che l’artista ha voluto suggerire. Il verde poi, colore così difficile da padroneggiare e tanto ostacolato in passato, è usato da Van Gogh nel modo più fresco che abbia mai visto. Un dipinto che fa capire perché l’artista olandese sia tanto amato nel mondo.

Due parole infine sulle tante raffigurazioni di uomini e donne affaticati dal lavoro, a volte ritratti dal vero, ma più spesso a studio, che inducono a riflettere sulle dure condizioni di lavoro ma anche sul senso dell’esistenza. Van Gogh è artista puro ma non dimenticherà mai, nella sua breve vita (morirà nel 1890 a trentasette anni), le esperienze umane che lo hanno segnato e davanti a un lavoro come La Fin de la journée (da Millet, 1889) in cui un contadino indossa la blusa per rientrare a casa, sembra chiedersi se, dopo una giornata di estrema fatica, quando la luna inizia ad apparire in cielo, ci sia ancora posto per i sogni.

Laura Fanti

inedito